“In queste condizioni, impossibile raggiungere la parità di genere. Manca la volontà politica”

“Raggiungere la parità di genere sarà possibile solo se alle donne sarà garantita la possibilità di essere autonome e indipendenti. Il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro è tra i più bassi d’Europa. In Puglia il divario di genere nei tassi di partecipazione è pari a 28,9 punti percentuali nel 2020, nettamente superiore alla media italiana (18,9 punti) e a quella dell’area Euro (10,1). L’inversione di tendenza di questi ultimi anni è dovuta semplicemente all’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. Le difficoltà di accesso al mondo lavorativo per le donne sono ancora troppe, in Puglia urge un impegno sinergico e immediato per attivare tutti gli strumenti che favoriscono la conciliazione tra vita professionale e familiare. Penso ai servizi di cura per l’infanzia come asili nido, sezione primavera e servizi integrativi. Maggiore è la presenza di questi servizi, maggiore è la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. La Puglia ha una disponibilità inferiore della media nazionale. Nel 2019 i posti autorizzati in servizi di cura per la prima infanzia, per due terzi costituiti da asili nido erano pari al 18,9% del numero di bambini nella fascia di età 0-2 anni (26,9 per cento in Italia). Nonostante i costi in Puglia siano più bassi che altrove (239 euro in Puglia, 303 euro la media nazionale), il costo dell’asilo nido si mangia un quarto dello stipendio” denuncia Gianni Ricci, segretario generale Uil Puglia.

“Non possiamo parlare di parità di genere se a parità di età, competenze e reddito iniziale, a 15 anni dalla nascita di un figlio essere una madre lavoratrice significa guadagnare circa la metà dello stipendio di una collega che non ha figli. Un gap causato nel 90% dei casi dalla necessità di ridurre il numero di ore lavorate, con un passaggio a contratti part-time e una diminuzione delle settimane retribuite nell’anno a parità di tipologia di rapporto di lavoro. E per la restante parte dalla minore crescita delle retribuzioni settimanali, con progressioni di carriera più lente rispetto alle donne senza figli. Una lavoratrice, dal momento in cui diventa madre, arriva a perdere anche l’80% dello stipendio in confronto a una collega senza figli. Dopo i primi due anni dalla nascita, la differenza si attesta attorno al 40%, ma poi gradualmente cresce. Questo fa sì che con un primogenito di 15 anni la donna ha uno stipendio del 50% più basso della collega che si trovava nelle sue stesse condizioni. La parità salariale è ancora una chimera. La Uil ha contribuito a far approvare la legge sulla parità salariale qui in Puglia, ma non vediamo la sua concreta applicazione, né strumenti per vigilare su tutte le distorsioni del sistema che portano ad esempio a non consentire la progressione di carriera per le donne. Solo il 18% delle lavoratrici pugliesi riveste posizioni apicali e appena il 3% è amministratore delegato in una azienda quotata – spiega il segretario – abbiamo chiesto più volte alla Regione di dar seguito a questa legge, di sederci a un tavolo per discutere le misure che possano portare alla sua concreta applicazione, senza però ottenere risposte. Non basta qualche rigo di una legge per risolvere una questione che non è solo economica, ma di civiltà”.

Discriminazioni che si perpetuano per tutta la vita delle donne, anche da pensionate. “La volontà di rendere più difficile l’accesso ad Opzione Donna è l’ennesima prova di una mancata volontà di superare il gap di genere. Volontà non giustificata da logiche di bilancio. Opzione Donna (che consente l’accesso anticipato alla pensione alle lavoratrici con 35 anni di contributi e 58 anni di età, con una riduzione della pensione pari al 30%) è un vantaggio per lo Stato già dal quinto anno di pensione. il Governo ha deciso di andare in direzione contraria, pensando di innalzare l’età pensionabile per poter usufruire della misura da 58 a 60, inserendo uno scaglionamento a seconda che la lavoratrice abbia o meno dei figli, sia disabile o abbia una persona non autosufficiente a carico. In Puglia le domande di accesso a Opzione Donna tra il 2021 e il 2022 sono aumentate di quasi il 40%, nella provincia di Bari del 35%. Ridimensionare per legge questa misura è incomprensibile conclude Ricci.

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