Le PMI pugliesi crescono, ma i salari no: vincolare aiuti e investimenti al lavoro.

“Dobbiamo scardinare il sistema che vuole imprese sempre più solide e dai profitti crescenti penalizzando i lavoratori con stipendi inadeguati al costo della vita” sostiene il segretario organizzativo nazionale della Uil e commissario straordinario della Uil Puglia, Emanuele Ronzoni.
Il tessuto produttivo pugliese è composto prevalentemente da pmi che impiegano 180.467 lavoratrici e lavoratori di cui quasi 6 su 10 in piccole imprese, che pur avendo retto meglio di altre il contraccolpo della pandemia e della guerra in Ucraina, sono comunque calate rispetto al periodo pre-covid (-2,8%). Lo rivelano i dati dell’ultimo rapporto Confindustria-Cesved-Unicredit.


“Numeri che certo non ci tranquillizzano perché mostrano un sistema in sofferenza. La corrente programmazione europea, per una favorevole congiuntura di misure, porterà in Puglia una quantità esorbitante di risorse che non vanno assolutamente sprecate e per farlo gli interventi e le politiche regionali devono marciare sul doppio binario di una crescita delle imprese e di un aumento del benessere complessivo dei lavoratori” continua Ronzoni.


L’andamento di lungo periodo traccia il solco del tessuto economico e produttivo della regione che continua ad essere fortemente caratterizzato da piccole e medie imprese che continuano, nel lungo periodo, a crescere. Dal 2007 al 2020 sono aumentate del 10,5%, più che nel resto del Paese (2,5%) e anche nel resto del Mezzogiorno (6,4%). Ma la fragilità di queste imprese è il risvolto della medaglia. Analizzando i dati sui fallimenti, dopo il picco del 2020 legato al covid, i fallimenti sono sì diminuiti ma meno che altrove. La Puglia con il suo -12,8% è lontanissima dalla performance delle regioni del Nord -Est (dove i fallimenti sono scesi del 22,3%), del Nord-Ovest (-18,2%) ma anche della media italiana (16%).


Il fatturato di queste imprese tuttavia continua a crescere (fatto salva la contrazione tra 2019-2020 a causa della pandemia) registrando un + 7,5% nel 2021 e un trend positivo 2007-2021 del 9%, in controtendenza rispetto al resto del Paese che registra performance negative (-1,3% media nazionale). Anche il solido Nord-est, seppure in crescita non arriva ai valori pugliesi (+3,1% dal 2007-2021).
“Il contraltare di questa crescita delle pmi pugliesi è legato al costo del lavoro che è rimasto essenzialmente fermo da vent’anni a questa parte. Portando a maggiori profitti per le imprese, ma non ad un aumentato benessere per le lavoratrici e i lavoratori. Il rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto (clup) è infatti sceso del 4% rispetto al 2019. Il costo del lavoro rispetto al 2019 è sceso del 3% (più della media nazionale -2,6%). Abbiamo lavoratrici e lavoratori sempre più poveri e incapaci di contribuire allo sviluppo socio-economico del Paese, paradossalmente siamo di fronte a una platea di lavoratori dipendenti protagonista della crescita produttiva ma che, di questo passo, avrà difficoltà ad acquistare i prodotti che essa stessa ha contributo a far arrivare sul mercato, finendo solo per ingrossare gli utili del datore di lavoro di turno”.


Cresce poi l’indebitamento finanziario di queste imprese, ovunque al 2015 ma con dati preoccupanti in Puglia dove nel periodo 2007-2021 è salito del 50,9% (contro la media nazionale che è pari al 38,1%).
Le imprese non riescono a far fronte ai loro impegni, i mancati pagamenti delle fatture ne sono un esempio. Nella classifica nazionale, tra le 10 performance peggiori, 9 sono relative alle regioni centro-meridionali. In Puglia non viene pagata una fattura su tre. Un valore altissimo se si pensa che la media nazionale è del 26,4% e che peggio di noi fanno solo Sicilia (40,8%), Lazio (38,2%) Campania (36,6%) e Sardegna (36%).
Le pmi pugliesi sono fragili e considerate inaffidabili. La solvibilità (51,7%) è più bassa di oltre due punti rispetto alla media nazionale (53,9%) e di 8 punti in meno del Nord-Est (59,1%). Sono più vulnerabili, in Puglia (33,1%) più che nel resto del Paese (31,6%) e quasi quattro punti percentuali più del virtuoso Nord-est (29,3%).
La fragilità insita delle pmi è stata accentuata dalla pandemia e dalla guerra. Solo il 12,7% delle nostre imprese sono considerate sicure, mentre il 35,3% sono classificate vulnerabili (nel Nord-est solo 1 su 4).


Anche se il Pnrr non prevede misure specifiche per le pmi, prevede interventi di sostegno allo sviluppo e alla competitività delle imprese. “I fondi ci sono, solo il Por per la Puglia stanzia oltre cinque miliardi, più di noi riceveranno solo la Sicilia e la Campania. Questi fondi vanno utilizzati per rendere più solido il nostro tessuto produttivo ma legandolo alle politiche del lavoro. Queste misure non possono andare nell’unica direzione di un aumento dei profitti, ma devono viaggiare di pari passo all’aumento dei salari. Le pmi sono un microcosmo importantissimo, ma difficile da controllare. Su questo bisogna lavorare, garantendo l’applicazione dei contratti nazionali. Inoltre come sindacato abbiamo chiesto la decontribuzione degli aumenti contrattuali al fine di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori senza gravare eccessivamente sulle imprese e ancora la riduzione del cuneo fiscale e la diminuzione delle ore lavorative. Non possiamo dimenticare che in Puglia ci sono 174mila disoccupati e che un giovane su tre è disoccupato. La ricchezza una volta prodotta va redistribuita tra tutti, non si può pensare ad un modello di imprese che realizzano profitti crescenti senza considerare la qualità di vita di chi quei profitti ha contribuito a realizzarli” conclude Ronzoni.

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